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BAMBINI CHE TARDANO A PARLARE

D: Mi chiamo Nadia e mio figlio Tommaso, di quasi 24 mesi, non ha ancora iniziato a parlare. Devo rivolgermi ad uno specialista?

R: Ciao Nadia! Non tutti i bambini sono uguali, e dunque anche iniziare a parlare non succede alla stessa età per tutti; dunque non devi pensare subito a problemi di linguaggio e allarmarti. Intanto ti invito a soffermarti sull’aspetto dell’apprendimento: scopri se tuo figlio comprende ciò che sente; se sei sicura che sente bene e capisce, cioè associa le parole a determinati oggetti o azioni; allora è probabile che Tommaso sia un “parlatore tardivo”, cioè che rientri in quella categoria di bambini che ascoltando gli adulti, memorizzano tutti i vocaboli di cui comprendono il significato, e non appena si sentono sicuri di poter riprodurre i suoni necessari a pronunciare quei vocaboli, allora inizieranno a parlare e anche molto bene.

PERCHE’ I BAMBINI TARDANO A PARLARE

Le motivazioni per le quali alcuni bambini hanno un così detto “ritardo fonetico”, e quindi tardano a parlare, possono essere diverse, a cominciare dal loro carattere: alcuni bambini sono più timidi di altri e il loro silenzio esprime solamente il loro modo di essere, rispetto alla “massa”. Un’altra motivazione la possiamo imputare alla pura e semplice pigrizia, infatti se i bambini si rendono conto di non avere la necessità di parlare, perché i loro bisogni vengano soddisfatti, non faranno alcuno sforzo per esprimersi ma lasceranno che gli adulti, che lo circondano, intuiscano dai loro gesti e dai loro atteggiamenti, ciò che vogliano e soddisfino le loro richieste, senza dover fare alcuna fatica. Molto importante, poi, è anche l’ambiente stesso, nel quale i bambini crescono, quindi la famiglia: i bambini imparano, prima di tutto, per imitazione quindi se gli adulti di riferimento con i quali si relaziona Tommaso, parlano a monosillabi, non argomentando con più vocaboli, ciò che vogliono esprimere, lo stesso bambino tenderà a limitarsi nel parlare.

ATTIVITA’ CHE STIMOLANO I BAMBINI A PARLARE

Cara Nadia, per stimolare il tuo bambino a pronunciare le parole, puoi svolgere insieme a lui innumerevoli attività: puoi leggere dei racconti e coinvolgerlo facendogli domande sulla storia che ha ascoltato, meglio ancora se la lettura verte su delle filastrocche che grazie alle rime e le assonanze che contengono nel loro testo, sono più orecchiabili e le parole  possono essere memorizzate più facilmente, così come anche delle canzoncine. Inoltre quando ti rivolgi a tuo figlio Tommaso, sarebbe meglio se tra voi ci fosse anche il contatto visivo, non solo per fare sì che si concentri su ciò che gli stai dicendo, ma anche perché possa osservare come si muove la tua bocca e, per quanto possibile, la tua lingua, mentre pronunci delle date parole. Ti consiglio di usare frasi brevi con vocaboli semplici e realmente esistenti, per intenderci le scarpe si chiamo scarpe e non peppe, così come il latte si chiama latte e non titto, e di indicare, se possibile, gli oggetti di cui hai pronunciato il relativo nome. Quando tuo figlio ti fa capire di voler esprimere un esigenza nel modo in cui è abituato a farlo, nonostante tu capisci perfettamente cosa vuole o ciò di cui ha bisogno, grazie al suo atteggiamento e ai suoi gesti che nel tempo hai imparato a codificare, sarebbe meglio che stimolassi la sua espressione verbale, in merito al suo bisogno, suggerendogli eventualmente le parole da esprimere e aspettando che provi a pronunciarle per ottenere ciò che vuole. Un altro valido aiuto è rappresentato dalla frequenza dei propri pari (per esempio al parco giochi, meglio ancora all’asilo nido o nella sezione primavera di una scuola materna) che, sempre tramite l’imitazione e non solo, anche per l’esigenza di essere compreso dai componenti del gruppo nel quale dovrà inserirsi, lo porterà a sforzarsi ad esprimersi verbalmente.

Cara Nadia, le regole d’oro per stimolare tuo figlio a parlare, comunque, sono sempre: avere tanta pazienza, tanto per cominciare; non forzarlo mai a fare ciò che non si sente di fare, perché così facendo rischi di ottenere il risultato contrario a quello auspicato e quindi una chiusura in se stesso, un po’ per sfida e un po’ per sfiducia; e ultima, ma non meno importante, non correggerlo di continuo, quando finalmente deciderà di provare a pronunciare le parole che ha memorizzato, rischiando di spegnere la spontaneità che caratterizza tutti i bambini. Meglio dare il giusto valore alle loro capacità comunicative che non al loro corretto uso del linguaggio.

Spero che le mie parole ti abbiano potuto rassicurare in merito all’argomento e che tu possa intraprendere un percorso costruttivo con tuo figlio Tommaso, accompagnandolo per mano, nell’acquisizione di un forbito vocabolario!